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Evento: An Eye Wide Open
21/01/2017 - 18/02/2017
Dettagli
Data di inserimento: | 18/01/2017 - 19:16 |
Luogo: | Napoli (NA) - Campania |
Data di inizio: | 21/01/2017 |
Data di fine | 18/02/2017 |
Descrizione
La galleria d’arte contemporanea Intragallery di Napoli ha il piacere di annunciare il secondo appuntamento della serie di mostre “Giovani artisti americani in Italia”, presentando il lavoro di Devin Kovach, "An eye wide open". La mostra, curata da Pia Candinas, sarà inaugurata presso Intragallery, in via Cavallerizza a Chiaia 57, il 21 gennaio 2017 alle 11.00, e rimarrà aperta fino al 18 febbraio 2017.
L'artista ha trasformato lo spazio della galleria in un'installazione che manipola la luce dirigendo la nostra attenzione verso proiezioni filmiche, stampe, disegni, fotografie e oggetti tridimensionali. Un piccolo modello di un panorama arrotondato ci ricorda che il nostro campo visivo è in realtà l’interno di una sfera, dal cui centro noi guardiamo verso l’esterno.
La rappresentazione bidimensionale è resa possibile dal posizionamento di un piano (“picture plane”) che serve ad appiattire un piccolo ritaglio in un’ampia sfera. Tracciando un paesaggio su una lastra di plexiglas con un attrezzo fatto in casa, Devin crea un’immagine unica per un occhio diretto lungo una determinata linea visiva attraverso quella specifica finestra.
Utilizzando materiali semplici e un equipaggiamento rudimentale secondo lo spirito del fai da te, dimostra che nessuna realtà oggettiva e classica può esistere al di fuori dell'esperienza-corpo registrata in un istante spaziale e temporale particolare. Il suo lavoro mostra anche come uno specifico punto di osservazione riveli la soggettività ed evenienza nell'esperienza umana.
Le parole dell’artista, che vive e lavora a Roma: “... E' noioso e scomodo. L’occhio comincia a bagnarsi di lacrime sotto lo sforzo di una prolungata messa a fuoco. L’inspirazione e l’espirazione o una casuale brezza o una folata di vento sono sufficienti a far perdere il punto di osservazione e a dover ricominciare la procedura da capo. Ciò nondimeno, quando l’occhio si distoglie e l’osservatore si allontana, rimane sulla lastra una trascrizione delle particolari condizioni spaziali del punto di osservazione dal quale si stava guardando”.
Kovach è affascinato dal modo in cui la luce rende le forme visibili nello spazio. Al contrario dei suoi disegni, che utilizzano il linguaggio astratto e "spirituale" della linea, le sue stampe fotografiche di semplici oggetti e di spazi interni, resi entrambi visibili e quasi invisibili da una luce accecante ed obliqua, si basano sul blu chiaroscuro della antica tecnica della cianotipo. Il sorprendente risultato è assicurato dal contrasto tra le cose reali e solide catturate dalla fotocamera in un momento reale del tempo-spazio, e l’astratta tensione ottenuta attraverso una composizione classica, quasi costruttivista.
Nato nel 1987 a Tuba City, Arizona, Devin Kovach ha concluso il suo Master of Fine Arts presso la Tyler School of Art, Temple University di Filadelfia e di Roma. Dal 2015 insegna incisione e disegno presso la Temple University a Roma. I suoi lavori sono stati esibiti sia in Italia che negli Stati Uniti; ha ricevuto diverse borse di studio e di ricerca, incluse quelle presso l’Anderson Ranch in Colorado, la Kala Art Insitute of California, il Printmaking Centre in New Jersey, e infine l’Officina Stamperia del Notaio in Tusa, Sicilia.
L'artista ha trasformato lo spazio della galleria in un'installazione che manipola la luce dirigendo la nostra attenzione verso proiezioni filmiche, stampe, disegni, fotografie e oggetti tridimensionali. Un piccolo modello di un panorama arrotondato ci ricorda che il nostro campo visivo è in realtà l’interno di una sfera, dal cui centro noi guardiamo verso l’esterno.
La rappresentazione bidimensionale è resa possibile dal posizionamento di un piano (“picture plane”) che serve ad appiattire un piccolo ritaglio in un’ampia sfera. Tracciando un paesaggio su una lastra di plexiglas con un attrezzo fatto in casa, Devin crea un’immagine unica per un occhio diretto lungo una determinata linea visiva attraverso quella specifica finestra.
Utilizzando materiali semplici e un equipaggiamento rudimentale secondo lo spirito del fai da te, dimostra che nessuna realtà oggettiva e classica può esistere al di fuori dell'esperienza-corpo registrata in un istante spaziale e temporale particolare. Il suo lavoro mostra anche come uno specifico punto di osservazione riveli la soggettività ed evenienza nell'esperienza umana.
Le parole dell’artista, che vive e lavora a Roma: “... E' noioso e scomodo. L’occhio comincia a bagnarsi di lacrime sotto lo sforzo di una prolungata messa a fuoco. L’inspirazione e l’espirazione o una casuale brezza o una folata di vento sono sufficienti a far perdere il punto di osservazione e a dover ricominciare la procedura da capo. Ciò nondimeno, quando l’occhio si distoglie e l’osservatore si allontana, rimane sulla lastra una trascrizione delle particolari condizioni spaziali del punto di osservazione dal quale si stava guardando”.
Kovach è affascinato dal modo in cui la luce rende le forme visibili nello spazio. Al contrario dei suoi disegni, che utilizzano il linguaggio astratto e "spirituale" della linea, le sue stampe fotografiche di semplici oggetti e di spazi interni, resi entrambi visibili e quasi invisibili da una luce accecante ed obliqua, si basano sul blu chiaroscuro della antica tecnica della cianotipo. Il sorprendente risultato è assicurato dal contrasto tra le cose reali e solide catturate dalla fotocamera in un momento reale del tempo-spazio, e l’astratta tensione ottenuta attraverso una composizione classica, quasi costruttivista.
Nato nel 1987 a Tuba City, Arizona, Devin Kovach ha concluso il suo Master of Fine Arts presso la Tyler School of Art, Temple University di Filadelfia e di Roma. Dal 2015 insegna incisione e disegno presso la Temple University a Roma. I suoi lavori sono stati esibiti sia in Italia che negli Stati Uniti; ha ricevuto diverse borse di studio e di ricerca, incluse quelle presso l’Anderson Ranch in Colorado, la Kala Art Insitute of California, il Printmaking Centre in New Jersey, e infine l’Officina Stamperia del Notaio in Tusa, Sicilia.
Altri eventi dell'inserzionista
Three Triptychs
29/09/2016 - 12/11/2016
Napoli (NA) - Campania
Inserito da Marco Caiazzo
La galleria per le arti contemporanee Intragallery presenta Three Triptychs, mostra a cura di Mario Codognato, visitabile dal 29 settembre al 12 novembre 2016 presso la sede di via Cavallerizza a Chiaia. Inaugurazione giovedì 29 settembre alle ore 19.00 alla presenza degli artisti che espongono: David Batchelor, Rachel Howard, Henrietta Labouchere. I tre britannici presenteranno tre variazioni sul tema della tradizione compositiva del trittico: a confronto generazioni e percorsi diversi, legati però da un’interpretazione critica del medium pittorico, rivisitato in chiave architettonica e tridimensionale.
Dal testo critico del curatore della mostra, Mario Codognato: “Il lavoro di David Batchelor si focalizza sul rapporto con il colore generato dell'ambiente urbano e sottolineato da come lo vediamo e reagiamo alle sollecitazioni fisiche e psicologiche nell’era tecnologica in cui viviamo. Nel trittico per la mostra di Intragallery l’artista ha raccolto una serie di vecchi light boxes, di quelli che in genere pubblicizzano negozi e ristoranti, li ha ripuliti e montati in modo da formare delle installazioni verticali. I colori provenienti dai light boxes si riflettono contro la parete e il pubblico li percepisce vedono solo attraverso il loro riflesso. Un tramonto artificiale e sublime al contempo. La potenzialità visiva e psicologica del colore caratterizza anche il lavoro di Rachel Howard, che nel trittico per la mostra da Intragallery alterna e accosta senza ruoli o gerarchie tre momenti e adagi della pittura contemporanea: figurazione, astrazione e la rappresentazione bidimensionale a parete di un oggetto tridimensionale, in questo caso una stampella per vestiti, che ironicamente richiama all’appendiabiti di Trap di Marcel Duchamp. Nel lavoro di Henrietta Labouchere, tre pannelli liberamente ispirati ai tessuti dei kosode e ai paraventi giapponesi del periodo Edo vengono esposti in una sequenza crescente, allineandoli dal basso. Partendo dall'idea degli orli dei kosode, l’artista nella preparazione dei pannelli ha scelto dodici colori tipici dei kimono d'epoca Edo, applicando molti strati di colla di coniglio, dipinti con tonalità tali che alla fine, attraverso un sofisticato processo di levigatura, comparissero piccoli segni come delle cicatrici”.
Perché questo tema? “La simbologia del numero tre è pressoché infinita e riscontrabile nei miti di tutte le civiltà in tutte le latitudini. Tre è considerato il “numero perfetto“, in quanto espressione della Triade o Trinità. È il simbolo spirituale della pianta che allunga i suoi rami (triforcazione) e i Pitagorici lo consideravano sacro perché permette di tracciare il triangolo, figura perfetta”, dice Codognato. “Il Tre, è il prodotto dell’unione tra l’Uno, il principio attivo e il Due, il grembo che accoglie la creazione. Possiamo definirlo il primo prodotto del pensiero che si moltiplica e si espande; racchiude in sé sia il concetto di unione sia quello di espansione”.
Dal testo critico del curatore della mostra, Mario Codognato: “Il lavoro di David Batchelor si focalizza sul rapporto con il colore generato dell'ambiente urbano e sottolineato da come lo vediamo e reagiamo alle sollecitazioni fisiche e psicologiche nell’era tecnologica in cui viviamo. Nel trittico per la mostra di Intragallery l’artista ha raccolto una serie di vecchi light boxes, di quelli che in genere pubblicizzano negozi e ristoranti, li ha ripuliti e montati in modo da formare delle installazioni verticali. I colori provenienti dai light boxes si riflettono contro la parete e il pubblico li percepisce vedono solo attraverso il loro riflesso. Un tramonto artificiale e sublime al contempo. La potenzialità visiva e psicologica del colore caratterizza anche il lavoro di Rachel Howard, che nel trittico per la mostra da Intragallery alterna e accosta senza ruoli o gerarchie tre momenti e adagi della pittura contemporanea: figurazione, astrazione e la rappresentazione bidimensionale a parete di un oggetto tridimensionale, in questo caso una stampella per vestiti, che ironicamente richiama all’appendiabiti di Trap di Marcel Duchamp. Nel lavoro di Henrietta Labouchere, tre pannelli liberamente ispirati ai tessuti dei kosode e ai paraventi giapponesi del periodo Edo vengono esposti in una sequenza crescente, allineandoli dal basso. Partendo dall'idea degli orli dei kosode, l’artista nella preparazione dei pannelli ha scelto dodici colori tipici dei kimono d'epoca Edo, applicando molti strati di colla di coniglio, dipinti con tonalità tali che alla fine, attraverso un sofisticato processo di levigatura, comparissero piccoli segni come delle cicatrici”.
Perché questo tema? “La simbologia del numero tre è pressoché infinita e riscontrabile nei miti di tutte le civiltà in tutte le latitudini. Tre è considerato il “numero perfetto“, in quanto espressione della Triade o Trinità. È il simbolo spirituale della pianta che allunga i suoi rami (triforcazione) e i Pitagorici lo consideravano sacro perché permette di tracciare il triangolo, figura perfetta”, dice Codognato. “Il Tre, è il prodotto dell’unione tra l’Uno, il principio attivo e il Due, il grembo che accoglie la creazione. Possiamo definirlo il primo prodotto del pensiero che si moltiplica e si espande; racchiude in sé sia il concetto di unione sia quello di espansione”.
Conversazioni cromatiche su Napoli, incontro con Renato Quaglia
13/06/2017 - 13/06/2017
Napoli (NA) - Campania
Inserito da Marco Caiazzo
Il friulano Renato Quaglia, direttore di Foqus Fondazione Quartieri Spagnoli, è il protagonista delle Conversazioni Cromatiche su Napoli. L'appuntamento è per domani, martedì 13 giugno 2017, ore 18.30, presso la sede della galleria per le arti contemporanee Intragallery (via Cavallerizza a Chiaia 57) degli architetti Annamaria De Fanis e Rosa Francesca Masturzo.
Project manager, direttore organizzativo, coordinatore di istituzioni e iniziative culturali, Renato Quaglia è docente di Economia della cultura. Direttore generale della Fondazione FOQUS, progetto di rigenerazione urbana a Napoli; analista OCSE; project manager del Future Forum. E’ stato direttore del Napoli Teatro Festival Italia dal 2008 al 2011; direttore organizzativo della Biennale di Venezia dei festival del Teatro, della Musica, della Danza e delle Esposizioni Internazionali di Arti Visive e di Architettura, dal 1998 al 2007; consulente per progetti di sviluppo nelle Regioni del Sud Italia e per organizzazioni internazionali. Chevalier de l’Ordre des Art set des Lettres della Repubblica Francese.
Con il Patrocinio Morale del Comune di Napoli, che assegna al ciclo d’incontri un valore d’interesse e di particolare attenzione, le Conversazioni Cromatiche, ideate e curate da Benedetta de Falco, hanno visto negli anni protagonisti: Franco Arminio (scrittore e poeta), Sylvain Bellenger (Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte), Riccardo Dalisi (architetto e designer), Maurizio de Giovanni (scrittore), Mauro Giancaspro (bibliofilo), Paolo Giulierini (Direttore del Mann), Lorenzo Marone (scrittore), Aldo Masullo (filosofo), Giovanna Mozzillo (scrittice) e Pietro Treccagnoli (giornalista).
Sguardi sulla città molto diversi tra loro che contribuiscono a rendere un’immagine di Napoli a tutto tondo. I colori sono solo un pretesto per raccontare Napoli e raccontarsi nel proprio rapporto con la città.
Gli incontri sono pubblici e gratuiti. Quest’anno saranno supportati da immagini e video. È possibile seguire il calendario degli incontri attraverso la pagina Facebook Conversazioni cromatiche su Napoli.
Quaglia chiude il terzo ciclo delle Conversazioni Cromatiche su Napoli che ripartiranno, per la quarta edizione, con Mauro Felicori, direttore della Reggia di Caserta.
Project manager, direttore organizzativo, coordinatore di istituzioni e iniziative culturali, Renato Quaglia è docente di Economia della cultura. Direttore generale della Fondazione FOQUS, progetto di rigenerazione urbana a Napoli; analista OCSE; project manager del Future Forum. E’ stato direttore del Napoli Teatro Festival Italia dal 2008 al 2011; direttore organizzativo della Biennale di Venezia dei festival del Teatro, della Musica, della Danza e delle Esposizioni Internazionali di Arti Visive e di Architettura, dal 1998 al 2007; consulente per progetti di sviluppo nelle Regioni del Sud Italia e per organizzazioni internazionali. Chevalier de l’Ordre des Art set des Lettres della Repubblica Francese.
Con il Patrocinio Morale del Comune di Napoli, che assegna al ciclo d’incontri un valore d’interesse e di particolare attenzione, le Conversazioni Cromatiche, ideate e curate da Benedetta de Falco, hanno visto negli anni protagonisti: Franco Arminio (scrittore e poeta), Sylvain Bellenger (Direttore del Museo e Real Bosco di Capodimonte), Riccardo Dalisi (architetto e designer), Maurizio de Giovanni (scrittore), Mauro Giancaspro (bibliofilo), Paolo Giulierini (Direttore del Mann), Lorenzo Marone (scrittore), Aldo Masullo (filosofo), Giovanna Mozzillo (scrittice) e Pietro Treccagnoli (giornalista).
Sguardi sulla città molto diversi tra loro che contribuiscono a rendere un’immagine di Napoli a tutto tondo. I colori sono solo un pretesto per raccontare Napoli e raccontarsi nel proprio rapporto con la città.
Gli incontri sono pubblici e gratuiti. Quest’anno saranno supportati da immagini e video. È possibile seguire il calendario degli incontri attraverso la pagina Facebook Conversazioni cromatiche su Napoli.
Quaglia chiude il terzo ciclo delle Conversazioni Cromatiche su Napoli che ripartiranno, per la quarta edizione, con Mauro Felicori, direttore della Reggia di Caserta.
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Giovanni Lombardini. Messaggi
19/12/2015 - 24/01/2016
Napoli (NA) - Campania
Inserito da Raffaella Caruso
Parte dall’ultima serie di opere intitolata Messaggi la mostra che divisa nelle due sedi storiche di Riccione, Villa Franceschi e Villa Mussolini, sarà inaugurata sabato 19 dicembre 2015 alle ore 17. Protagonista Giovanni Lombardini, artista di lunga militanza che negli anni ha tenuto una relazione dialogante con le radici remote e impegnate della pittura sia di matrice minimalista sia con le esperienze degli anni 70 e contaminate dalle correnti concettuali e dell’arte povera.
La mostra si presenta come un’antologica di grande respiro poiché raccoglie i frutti maturati nel corso di quarant’anni di attività. Comprende i percorsi tracciati da Giovanni Lombardini che si dipanano fluenti come le braccia di un grande delta, ripercorrendo le diramazioni di una ricerca sempre tenacemente aggiornata che sembra magicamente auto costruirsi e relazionarsi con la realtà contemporanea. Realtà che si dispiega come un vasto insieme di contaminazioni, riutilizzi, mescolamenti. Lombardini, dotato di profonda misura etica e di consapevole riflessione estetica, agisce quindi su un insieme di recuperi simbolici, che provengono da una storia artistica personale dalla cui trae alimento continuo. “Dipingere più con gli occhi che con le mani” ebbe a dire l’artista qualche tempo fa: questo ha significato per lui immergersi in scelte precise, verso una pittura fatta di colore-campitura e spazio-luce. Fa dunque percorrere al colore un tragitto guidato, in forme nettamente scandite, giocato su nervature e esplosioni e scie; il suo colore è pigmento fluido e alchemico, svela la vita della materia (naturale e artificiale), mentre la somma delle sue superfici pittoriche è data dai rimbalzi di luce e dalla trasparenza e permeabilità all’aria e all’atmosfera.
La mostra comprende i cicli che partono da Géode (1990) ispirato originariamente ai cristalli contenuti nella cavità delle rocce, ma che oggi riluce come sacche amniotiche d’oro dai riflessi segreti, per proseguire con Brine del 2000, e attraversando Scie, Specchio sonoro, Rime, Pietre preziose, giunge alla poderosa serie di Inventari (2009) e infine approda alle opere recenti di Messaggi.
La mostra, curata da Annamaria Bernucci è accompagnata da un catalogo curato graficamente da Gianni Donati con testi critici di Annamaria Bernucci e Sara Bastianini.
«Cosa si celi nel contenuto dei Messaggi visivi non è dato sapere. Né Lombardini ci aiuta nel disambiguare l’immagine che ha ri-creato; anzi per doppio registro simbolico e referenziale l’icona del messaggio irrompe, deflagra con il suo potenziale celato e silente. L’artista, qui trasformandosi in agente o ricevente della comunicazione, nasconde anche la condivisione del codice che ne permetterebbe la trasmissione.
Sta allo spettatore parteciparvi e ciò accade nell’artificio che si invera nel momento in cui egli si riflette nell’opera, ne entra a far parte. Forse si nasconde anche una funzione narrativa, altrettanto segreta, e l’intera serie dei Messaggi si pone facilmente come opera aperta come testo che permette interpretazioni multiple e mediate dall’osservatore-lettore. Il colore ancora una volta è un serbatoio di energia pura in grado di strumentalizzare la percezione e la rifrangenza si trasforma in uno schermo di luce attraverso il quale accedere, penetrare o specchiarsi. Il vero legame che consente il dialogo tra l’osservatore-lettore e l’opera è questa condivisione. Lombardini innesta sul vettore cromatico la concezione portante del suo fare pittura…» (Annamaria Bernucci)
« Con l’ultimo ciclo dei Messaggi Giovanni Lombardini inventa un nuovo ambiente per la sua ricerca: un vero e proprio cosmo, in cui colore e luce creano un vortice gravitazionale che tutto cattura. Tra l’opera e il suo osservatore, che già ne diventava parte integrante, s’intesse ora un’intesa segreta che produce un’atmosfera di profondo mistero. Se l’altro mistero, caro alla letteratura, della missiva nella bottiglia abbandonata al mare, ricoperta da incrostazioni di tempo, verrà svelato, nel ritrovamento dopo un lungo viaggio, il mistero dell’opera di Lombardini, invece, si conserva intatto nell’itinerario silenzioso della propria destinazione sconosciuta. La lettera qui diventa il luogo d’incontro per l’immobile osservatore e il fluido riflesso dell’opera che tutto imprigiona, ma, al contempo, la stessa lettera s’interpone come un velo non svelabile, perché non si aprirà, resterà una distanza percettiva tra di essi, quasi fosse un’opera nell’opera…» (Sara Bastianini)
La mostra si presenta come un’antologica di grande respiro poiché raccoglie i frutti maturati nel corso di quarant’anni di attività. Comprende i percorsi tracciati da Giovanni Lombardini che si dipanano fluenti come le braccia di un grande delta, ripercorrendo le diramazioni di una ricerca sempre tenacemente aggiornata che sembra magicamente auto costruirsi e relazionarsi con la realtà contemporanea. Realtà che si dispiega come un vasto insieme di contaminazioni, riutilizzi, mescolamenti. Lombardini, dotato di profonda misura etica e di consapevole riflessione estetica, agisce quindi su un insieme di recuperi simbolici, che provengono da una storia artistica personale dalla cui trae alimento continuo. “Dipingere più con gli occhi che con le mani” ebbe a dire l’artista qualche tempo fa: questo ha significato per lui immergersi in scelte precise, verso una pittura fatta di colore-campitura e spazio-luce. Fa dunque percorrere al colore un tragitto guidato, in forme nettamente scandite, giocato su nervature e esplosioni e scie; il suo colore è pigmento fluido e alchemico, svela la vita della materia (naturale e artificiale), mentre la somma delle sue superfici pittoriche è data dai rimbalzi di luce e dalla trasparenza e permeabilità all’aria e all’atmosfera.
La mostra comprende i cicli che partono da Géode (1990) ispirato originariamente ai cristalli contenuti nella cavità delle rocce, ma che oggi riluce come sacche amniotiche d’oro dai riflessi segreti, per proseguire con Brine del 2000, e attraversando Scie, Specchio sonoro, Rime, Pietre preziose, giunge alla poderosa serie di Inventari (2009) e infine approda alle opere recenti di Messaggi.
La mostra, curata da Annamaria Bernucci è accompagnata da un catalogo curato graficamente da Gianni Donati con testi critici di Annamaria Bernucci e Sara Bastianini.
«Cosa si celi nel contenuto dei Messaggi visivi non è dato sapere. Né Lombardini ci aiuta nel disambiguare l’immagine che ha ri-creato; anzi per doppio registro simbolico e referenziale l’icona del messaggio irrompe, deflagra con il suo potenziale celato e silente. L’artista, qui trasformandosi in agente o ricevente della comunicazione, nasconde anche la condivisione del codice che ne permetterebbe la trasmissione.
Sta allo spettatore parteciparvi e ciò accade nell’artificio che si invera nel momento in cui egli si riflette nell’opera, ne entra a far parte. Forse si nasconde anche una funzione narrativa, altrettanto segreta, e l’intera serie dei Messaggi si pone facilmente come opera aperta come testo che permette interpretazioni multiple e mediate dall’osservatore-lettore. Il colore ancora una volta è un serbatoio di energia pura in grado di strumentalizzare la percezione e la rifrangenza si trasforma in uno schermo di luce attraverso il quale accedere, penetrare o specchiarsi. Il vero legame che consente il dialogo tra l’osservatore-lettore e l’opera è questa condivisione. Lombardini innesta sul vettore cromatico la concezione portante del suo fare pittura…» (Annamaria Bernucci)
« Con l’ultimo ciclo dei Messaggi Giovanni Lombardini inventa un nuovo ambiente per la sua ricerca: un vero e proprio cosmo, in cui colore e luce creano un vortice gravitazionale che tutto cattura. Tra l’opera e il suo osservatore, che già ne diventava parte integrante, s’intesse ora un’intesa segreta che produce un’atmosfera di profondo mistero. Se l’altro mistero, caro alla letteratura, della missiva nella bottiglia abbandonata al mare, ricoperta da incrostazioni di tempo, verrà svelato, nel ritrovamento dopo un lungo viaggio, il mistero dell’opera di Lombardini, invece, si conserva intatto nell’itinerario silenzioso della propria destinazione sconosciuta. La lettera qui diventa il luogo d’incontro per l’immobile osservatore e il fluido riflesso dell’opera che tutto imprigiona, ma, al contempo, la stessa lettera s’interpone come un velo non svelabile, perché non si aprirà, resterà una distanza percettiva tra di essi, quasi fosse un’opera nell’opera…» (Sara Bastianini)
Franco Beraldo, Le intenzioni più vere
26/08/2016 - 01/10/2016
Napoli (NA) - Campania
Inserito da CSArt Serri
“Le intenzioni più vere” dell’artista veneziano Franco Beraldo dal 26 agosto al 1 ottobre 2016 alla Farmacia Meltias di Conselve (PD). La mostra, realizzata con il patrocinio della Città di Conselve e della Provincia di Padova, è parte del progetto “Un artista per le farmacie Meltias” che, dal 2014 ad oggi, ha coinvolto Alessandra Lazzarin, Sonia Strukul e Carla Rigato. Curata da Sonia Strukul, l’esposizione sarà inaugurata venerdì 26 agosto alle ore 18.30, nell’ambito della Fiera di Sant’Agostino.
Il titolo, scelto dall’artista stesso, dichiara esplicitamente l’intenzione di mettere a nudo la sua pittura, il suo operare, le diverse fasi di un percorso di ricerca condotto con coerenza attraverso il ‘900 per affacciarsi al nuovo millennio.
In mostra, una ventina di opere di piccole e medie dimensioni, dalle nature morte ai paesaggi, fino alle carte che – spiega la curatrice – «rappresentano l’intensa e variegata ricerca del maestro che ha esplorato le profondità dell’olio e dell’affresco in paesaggi che sfumano nell’astratto. Una lunga ed inarrestabile ricerca incentrata sul colore e sulla sua espressione sempre più libera e piena, dalle nature morte di matrice morandiana ai paesaggi, fino alle tempere diluite sulle carte strappate e ricomposte».
Nell’intensa vicenda artistica di Franco Beraldo non si può prescindere, inoltre, dal suo incontro con il vetro: anche qui, come nelle nature more e nei paesaggi, le pennellate alludono ad una vitalità pittorica e ad un’anima segreta del colore che, come nella tradizione veneta, si evolve nella trasparenza del vetro in soluzioni non figurative.
Il percorso espositivo è completato da un video a ciclo continuo che presenta ai visitatori le soluzioni tecniche adottate dall’artista.
La mostra è visitabile da lunedì a sabato con orario 8.30-12.45 e 15.30-19.45. Ingresso libero. Per informazioni: tel. 049 5384165, conselve@farmaciemeltias.it, www.farmaciemeltias.it. Per informazioni sulle opere esposte: Sonia Strukul (tel. 392 4541345).
Nell’ambito dell’esposizione, sabato 2 settembre, alle ore 18.30, si terrà l’incontro con lo scrittore Matteo Strukul sul tema “Letteratura e territorio”, realizzato in collaborazione con la Libreria Mondadori di Padova. Matteo Strukul illustrerà ai presenti le trame dei suoi romanzi ambientati in Veneto, per raccontare il territorio e conservarne la memoria.
Franco Beraldo nasce nel 1944 a Meolo (VE), un piccolo paese della campagna veneta. Ancora ragazzo, si trasferisce con la famiglia a Mestre, dove attualmente vive e lavora. Per la sua formazione artistica è stato importante l’incontro con il pittore Guido Carrer e fondamentali i suoi viaggi nell’Italia del sud e soprattutto in Sicilia. Inizia l’attività artistica nel 1965, partecipando a concorsi, rassegne, mostre personali e collettive ed ottenendo numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Burano per la Pittura (1981). Dal 2006 si avvicina al modo del vetro di Murano, collaborando con i maestri più rappresentativi del settore.
Matteo Strukul (Padova, 1973) è scrittore e sceneggiatore di fumetti. Ha pubblicato per Mondadori “La giostra dei fiori spezzati” (2014), per Multiplayer “I Cavalieri del Nord” (2015), per Fanucci “Il sangue dei baroni”. Scoperto da Massimo Carlotto, ha pubblicato per le edizioni e/o i tre romanzi della serie di Mila: “La ballata di Mila” (2011), “Regina nera” (2013) e “Cucciolo d’uomo” (2015), in corso di pubblicazione in 20 Paesi ed opzionati per il cinema. Nel 2017 uscirà per Mondadori un suo libro dedicato a Casanova. Fondatore del movimento letterario “Sugarpulp” e direttore artistico dell’omonimo festival, collabora con diverse testate, tra cui “Il Venerdì di Repubblica” e “FilmTv”.
Le Farmacie Meltias propongono un approccio olistico al benessere dei propri clienti. Un insieme di spazi, professionisti, servizi e prodotti d’eccellenza. In questo contesto, per volontà del dott. Lucio Merlo e del dott. Roberto Sannito, nel 2014 è stato creato uno spazio dedicato ad eventi culturali e formativi, dove ritrovare utili informazioni e, al contempo, visionare opere d’arte per perseguire il proprio benessere. La farmacia quindi come luogo del benessere sia fisico che emotivo.
Il titolo, scelto dall’artista stesso, dichiara esplicitamente l’intenzione di mettere a nudo la sua pittura, il suo operare, le diverse fasi di un percorso di ricerca condotto con coerenza attraverso il ‘900 per affacciarsi al nuovo millennio.
In mostra, una ventina di opere di piccole e medie dimensioni, dalle nature morte ai paesaggi, fino alle carte che – spiega la curatrice – «rappresentano l’intensa e variegata ricerca del maestro che ha esplorato le profondità dell’olio e dell’affresco in paesaggi che sfumano nell’astratto. Una lunga ed inarrestabile ricerca incentrata sul colore e sulla sua espressione sempre più libera e piena, dalle nature morte di matrice morandiana ai paesaggi, fino alle tempere diluite sulle carte strappate e ricomposte».
Nell’intensa vicenda artistica di Franco Beraldo non si può prescindere, inoltre, dal suo incontro con il vetro: anche qui, come nelle nature more e nei paesaggi, le pennellate alludono ad una vitalità pittorica e ad un’anima segreta del colore che, come nella tradizione veneta, si evolve nella trasparenza del vetro in soluzioni non figurative.
Il percorso espositivo è completato da un video a ciclo continuo che presenta ai visitatori le soluzioni tecniche adottate dall’artista.
La mostra è visitabile da lunedì a sabato con orario 8.30-12.45 e 15.30-19.45. Ingresso libero. Per informazioni: tel. 049 5384165, conselve@farmaciemeltias.it, www.farmaciemeltias.it. Per informazioni sulle opere esposte: Sonia Strukul (tel. 392 4541345).
Nell’ambito dell’esposizione, sabato 2 settembre, alle ore 18.30, si terrà l’incontro con lo scrittore Matteo Strukul sul tema “Letteratura e territorio”, realizzato in collaborazione con la Libreria Mondadori di Padova. Matteo Strukul illustrerà ai presenti le trame dei suoi romanzi ambientati in Veneto, per raccontare il territorio e conservarne la memoria.
Franco Beraldo nasce nel 1944 a Meolo (VE), un piccolo paese della campagna veneta. Ancora ragazzo, si trasferisce con la famiglia a Mestre, dove attualmente vive e lavora. Per la sua formazione artistica è stato importante l’incontro con il pittore Guido Carrer e fondamentali i suoi viaggi nell’Italia del sud e soprattutto in Sicilia. Inizia l’attività artistica nel 1965, partecipando a concorsi, rassegne, mostre personali e collettive ed ottenendo numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Burano per la Pittura (1981). Dal 2006 si avvicina al modo del vetro di Murano, collaborando con i maestri più rappresentativi del settore.
Matteo Strukul (Padova, 1973) è scrittore e sceneggiatore di fumetti. Ha pubblicato per Mondadori “La giostra dei fiori spezzati” (2014), per Multiplayer “I Cavalieri del Nord” (2015), per Fanucci “Il sangue dei baroni”. Scoperto da Massimo Carlotto, ha pubblicato per le edizioni e/o i tre romanzi della serie di Mila: “La ballata di Mila” (2011), “Regina nera” (2013) e “Cucciolo d’uomo” (2015), in corso di pubblicazione in 20 Paesi ed opzionati per il cinema. Nel 2017 uscirà per Mondadori un suo libro dedicato a Casanova. Fondatore del movimento letterario “Sugarpulp” e direttore artistico dell’omonimo festival, collabora con diverse testate, tra cui “Il Venerdì di Repubblica” e “FilmTv”.
Le Farmacie Meltias propongono un approccio olistico al benessere dei propri clienti. Un insieme di spazi, professionisti, servizi e prodotti d’eccellenza. In questo contesto, per volontà del dott. Lucio Merlo e del dott. Roberto Sannito, nel 2014 è stato creato uno spazio dedicato ad eventi culturali e formativi, dove ritrovare utili informazioni e, al contempo, visionare opere d’arte per perseguire il proprio benessere. La farmacia quindi come luogo del benessere sia fisico che emotivo.